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Fior di loto, il controverso protagonista nel cuore del Parco del Mincio

Ultime fioriture della stagione

(Mantova, 07 Settembre 2017) - Di Marco Simonazzi, GRAM, Gruppo Ricerche Avifauna Mantova

Il fior di loto (Nelumbo nucifera) è una pianta acquatica della famiglia delle Nelumbonaceae, che vive lungo fiumi, estuari e paludi, ampiamente diffuso e utilizzato come pianta ornamentale per la sua indiscussa bellezza. Dispone di un apparato radicale che tramite rizomi gli permettono di diffondersi ed espandersi.

Il loto è presente naturalmente in India, in Cina, nel Sud Est asiatico e in Giappone. Nell'Australia settentrionale, in Egitto e sul Mar Caspio l'indigenato è invece dubbio, mentre è stato sicuramente introdotto in Italia, Romania, Paesi caraibici e Stati Uniti.

Anche se l'aspetto lascerebbe pensare che si tratti  di un parente stretto alle ninfee, questa somiglianza è dovuta alla convergenza evolutiva, ossia quando due specie si evolvono in un ambiente simile e tendono ad assumere le stesse caratteristiche (come i delfini e gli squali). In realtà, secondo studi genetici, il fior di loto è molto più vicino al platano che alla ninfea, dalla quale ha iniziato a differenziarsi nel tardo triassico.

Al di fuori del suo areale di distribuzione il fior di loto ha uno scopo puramente ornamentale, mentre nelle sue zone di origine è considerata una pianta sacra nel Buddismo e nell'Induismo, dove viene venerata da migliaia di anni. Ricopre altresì un importante ruolo per la medicina tradizionale e come fonte alimentare. Quasi tutte le parti della pianta sono commestibili: i fiori, i semi, i rizomi e le foglie giovani e possono essere infatti utilizzati per preparare tè, dolci, fritti, insalate o consumati crudi.

Proprio a questa gran versatilità si deve l'introduzione del fior di loto sui laghi di Mantova, dove è presente oramai da poco meno di cento anni. La prima proposta per la sperimentazione della coltivazione sui laghi di Mantova risale al 1914 e venne avanzata da alcuni missionari rientrati dalla Cina, ma solo nel 1921 si effettuò il suo trapianto. Il loto era già coltivato all'inizio del secolo scorso presso l'Orto Botanico di Parma e fu Maria Pellegreffi, una giovane laureata in Scienze Naturali, a effettuare il trapianto nei Laghi di Mantova; poco dopo si trasferì e l'esperimento fu dimenticato, ma  il loto continuò ad espandersi, pur senza essere mai utilizzato per l'alimentazione umana.

Sotto il profilo ecologico il fior di loto è una specie invasiva dannosa, che grazie alla sua adattabilità e alta capacità di competizione, forma densi popolamenti monospecifici che sottraggono spazio alla vegetazione autoctona. Questi effetti non colpiscono solo le altre piante, ma anche la fauna:  è stato dimostrato che dove prolifera il fior di loto, diminuisce sia il numero di esemplari che il numero di specie di macroinvertabrati, diverse specie di insetti che hanno parte del loro ciclo vitale legato agli ambienti acquatici e visibili a occhio nudo.

Sebbene sia diffusa in diverse regioni italiane, è considerata una specie invasiva in Lazio e Lombardia, dove, oltre ai già citati Laghi di Mantova, è presente in alcune località del Varesotto e nelle lanche del fiume Serio:  per questo motivo la specie è inserita nella "Lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione (L.R. 10/2008)" della Regione Lombardia.

Per poter contrastare la diffusione di questa pianta, occorrerebbe innanzitutto intervenire preventivamene nelle zone a rischio, anche attraverso la sensibilizzazione della popolazione e delle autorità preposte, per evitare che venga piantata e possa diffondersi ulteriormente. Mentre, dove già presente, la specie può essere eradicata o contenuta con interventi di sfalcio prima della fioritura ripetuti negli anni, così come avviene sui Laghi di Mantova, grazie al prezioso lavoro delle autorità competenti e del Parco del Mincio.

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Foto di Silvia Picuno per photo contest "Madame Butterfly", Parco del Mincio 2016
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Foto di Maybol Romeu per photo contest "Madame Butterfly"
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